La morte del piccolo Daniele si sarebbe potuta evitare? Forse, se…

di Manuela Serra

La morte di un bambino di sette anni ucciso dal padre dovrebbe farci flettere.

Assistiamo continuamente ad una incapacità giuridica di arginare i violenti.

Quel padre quarantenne che ha ucciso il figlio, a quanto si legge dalle cronache, era ai domiciliari, per aver accoltellato un collega di lavoro.

Aveva ottenuto di trascorrere il Capodanno con il figlio che, questa sera, sarebbe dovuto tornare dalla mamma.

Ad un tipo così, è servito poco, essere stato incarcerato.

Adesso che ha ucciso, rinchiuderlo, magari per sempre, com’è giusto, servirà a poco.

Sarebbe servito molto di più, prima, molto prima, almeno trent’anni, mettendolo concretamente in condizione di non nuocere. Il che vale per tanti altri violenti, già conosciuti e denunciati come tali, che poi si sono trasformati in assassini somministrando alle loro vittime la loro annunciata pena di morte.

Il nostro ordinamento è contro la pena di morte.

Ma serve a poco essere contro la pena di morte nei confronti degli assassini, se non si fa di tutto per impedire prima la pena di morte che essi infliggono alle loro vittime, non come un fulmine a ciel sereno, ma come la logica conseguenza di reiterate minacce e violenze.

Cosa fare concretamente, forse serve ASCOLTARE e dotare di psicoterapeuti ogni angolo di quartiere.

Forse servono consultori familiari con mediatori, pedagogisti, medici che sappiano ascoltare, aiutare ed operare per la difesa di vittime e forse anche per evitare che nascano aguzzini.

I luoghi dove c’è abbandono dove si comunica con violenza, generano violenza.

Servono luoghi dove bellezza e amore generino AMORE, ACCOGLIENZA, ASCOLTO.

Non pretendo di sapere come agire, come riuscire a creare luoghi di bellezza, ma oggi soffro di fronte all’ingiustizia, tanto più quando, come in questo caso, colpisce i più piccoli.

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