Otto marzo?, ma per favore!

DI ANNA LISA MINUTILLO

Siamo ancora qui, intorno ad un giorno in cui tutti si ricordano delle donne, anche chi, fino a poche ore prima ha trovato il modi di ferirle, giudicarle, cercare il sistema più idoneo per sbarrare loro la strada, senza dimenticare di cadere sempre in piedi.

Di metterle alla gogna, celando il pensiero obsoleto di cui non smette di prendersi cura.

La solita storia: « il gallo nel pollaio», quello da cui attinge, ma anche quello di cui parla male con la «prima gallina» che gli capita a tiro, screditando le altre «colleghe».

Adulazioni a go-go con l’una, impietosi giudizi con l’altra.
Tutte contro tutte e lui, tronfio ed impettito, canta vittoria, nelle note acute che dovrebbero annunciare il nuovo giorno…

Spettacoli davvero avvilenti in cui non bisogna cascare ma piuttosto si dovrebbero tenere lontano, poiché hanno il fetido profumo di chi, solo nascondendosi, e neanche troppo bene, riesce a dare sfoggio alle sue piume malconce ormai…

Siamo ancora qui, nonostante tutto e nonostante loro, a mandare avanti progetti, famiglie, a reinventarci quando la casa diventa troppo piccola per accogliere bimbi a casa da scuola, mariti che lavorano in smartworking, e dovendo lavorare anch’esse.

Siamo qui, ad inventare giochi nuovi in cui coinvolgere questi bambini che di giocare ai giardini sono stati privati.
Siamo qui, quando creiamo nuove ricette per far superare loro la diffidenza verso alcuni alimenti, quando tra una mail ed una telefonata, ritiriamo i vestiti dallo stendino, oppure passiamo l’aspirapolvere, nella stanza che reclama a gran voce il suo passaggio.

Siamo ancora qui, nelle nostre case, quelle in cui oltre alle nostre famiglie, risiedono i nostri sacrifici, le nostre rinunce, il nostro impegno, diventano vittime di chi, grazie alla pandemia che ci ha condotti verso l’isolamento, non perde occasione per dare sfoggio della sua violenza fisica, della sua tracotante superiorità fisica, per decidere di «giocare» con noi, per dimostrare la sua«grandezza».

Anche il mondo esterno è ancora lì: spettatore distratto di rumori sospetti, di voci che si alzano, di pianti dei bimbi.

Il mondo esterno è ancora lì, fermo, ma alla ricerca di un qualsiasi movente che guarda caso è comunque responsabilità della donna.

«Avrà trascorso troppo tempo al cellulare, sarà venuta meno ai suoi compiti, non avrà rispettato gli spazi del suo uomo, con questo isolamento, siamo tutti più stressati…» e la lista potrebbe essere molto più lunga…

Esattamente come quando si cercano le motivazioni che hanno condotto ad uno supro:«lei era consenziente, così impara ad avere atteggiamenti disinibiti, poteva evitare quella scollatura o quella gonna così corta…».

Tutte le responsabilità sono a carico della donna, non si dice mai, o raramente, che la causa di uno stupro è lo stupratore!

Ma noi, siamo ancora qui, bersagli di giudizi violenti, basati sull’aspetto esteriore, su come ci poniamo, su come vestiamo.

Incassiamo colpi bassi che, neanche sui ring si vedono, così, proprio come non viene vista la violenza bieca, quella che non lascia lividi ma fa male al cuore.

È che tutti si ricordano della forza delle donne, del loro valore, dell’importanza del ruolo che ricoprono nella società, e lo fanno per ventiquattro ore, neanche un minuto in più.
Lo fanno perché va tanto di moda, o forse perché devono dipingersi il ruolo di «buoni» realmente.

Lo fanno per far finta di non avere più preclusioni mentali, oppure per dimostrare di non essere più vittime di retaggi culturali che anche le passate generazioni rinnegherebbero, tornassero a vivere nel presente.

Intanto che noi siamo ancora qua, con tutti i nostri sogni infranti, ci sono uomini che iniziano, garbatamente, a volerci plasmare, che ci vogliono come piacerebbe a loro, che diventano stilisti e danno indicazioni, non richieste, sul nostro look.

Poi passano agli amici che non gli stanno bene, che hanno mille difetti, che non ci fanno onore.

Lo step successivo, riguarda la famiglia, ci vogliono tutte per loro, non vogliono dividerci con parenti e genitori, perché loro, ci «amano tanto» e non si vogliono privare, neanche per un minuto, della loro compagnia.

Da ultimo, il lavoro: « non vedi come ti sfruttano?, quando rientri dall’ufficio sei sempre nervosa, non preoccuparti, stringiamo la cinghia e la mia busta, sarà sufficiente per entrambi…».
Ecco, hanno creato il vuoto intorno, isolando, più della pandemia.

Attenzione a questi «uomini», travestiti da «agnellini buoni», sono invece strateghi abili, altruisti e generosi in apparenza, egocentrici e insicuri nella realtà.

Siamo ancora qua, quando nascondiamo dentro ad un sorriso, il pianto che per vergogna, non lasciamo vedere a chi dovrebbe rendersi conto da solo, della situazione squallida in cui, troppo spesso fa vivere le donne.

Siamo qua, quando, non ascoltate, dopo aver denunciato, in un giorno qualsiasi, ci ritroviamo cadaveri, con il corpo lacerato dalle numerose coltellate ricevute, quando l’ultima immagine che ci resta stampata negli occhi, è quella della ferocia inaudita con cui veniamo trafitte, mutilate nell’anima oltre che nel corpo.

Siamo qua, quando cause interminabili, ci vedono uccise tante, troppe volte, prima che la certezza della pena, possa essere messa in atto.

Siamo qua, quando finti pentimenti, riempiono colonne di giornali, senza dare a chi è già morto ormai, la possibilità, di poter dire la sua.

Siamo ancora qui, come ogni anno, da tanti, troppi anni ormai, ferme al punto di partenza, perché dobbiamo sempre richiedere quel rispetto, considerazione, amore, tutti valori importanti, ma che non andrebbero richiesti, ma arrivare in modo spontaneo, dovrebbero far parte della tanto decantata società moderna, dovrebbero risiedere nella coscienza individuale fino a trasformarla in collettiva.

Siamo sempre qui a doverci difendere, giustificare, spiegare, come se il tempo non fosse passato, come se nessuna donna fosse morta per mano di loschi figuri, come se nulla fosse stato fatto, mentre c’è ancora, purtroppo, così tanto da fare.

È un fallimento quotidiano, è una sconfitta devastante, ci sono figli che perdono madre e padre nell’arco di pochi attimi.
Ci sono donne che si salvano ma vengono condannate al dolore eterno, perché chi non le uccide, decide di eliminare i suoi figli.

È come se della famiglia non restasse nulla, spazzolata via, cancellata, distrutta, da chi non riconosce più tutto il bene elargito gratuitamente dai suoi componenti.

Si parla di giornata della donna, si regalano fiori, si diventa attenti, ma tutto questo dura una manciata di ore, sarebbe chiedere troppo se dovesse durare…

Siamo ancora qui a combattere contro la banalità, a fuggire dalle guerre a dover guerreggiare per ricoprire ruoli sempre e da sempre destinate agli uomini.

Siamo in prima linea per educare sentimentalmente, figli che preferiscono distrarsi cibandosi di social e caviale.

Siamo sempre qui, ad occuparci di casa, lavoro, bilanci economici ed otteniamo solo giudizi basati sulla nostra apparenza e raramente sulle nostre reali capacità.

Siamo ancora qui a cercare di cambiare gli uomini che non vogliono cambiare, a provare vergogna per esserci fatte manipolare, a rincorrere ideali di libertà che sono ancora lontani ed inafferrabili…ecco, non parlate di festa della donna, perché non c’è nulla da festeggiare, non fate i «gentiluomini» nascondendovi dietro ad un mazzetto di fiori che starebbero meglio sui rami, non riempitevi la bocca utilizzando parole di cui non conoscete il significato.

Altro che giornata della donna, ma per favore!

Immagine tratta dal web

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.