Scontri e riscontri

DI ANNA LISA MINUTILLO

 

Assistiamo a vere e proprie rivolte nelle nostre città, persone che hanno tutto il diritto di esprimere disappunto per la situazione critica che questa pandemia ha creato.

Ciò che convince poco però è il modo in cui tutto ciò viene condotto.
Vetrine distrutte, merci saccheggiate, bombe carta, catene tra le mani, cosa c’entrano con la protesta dei commercianti e dei ristoratori?

Li si aiuta economicamente forse danneggiando le loro attività commerciali?

Ed ancora: cosa ha a che vedere tutto ciò con gli orari di chiusura che l’ultimo dcpm ha richiesto?

Sottolineare il disappunto, la preoccupazione ci sta ed ed è lecito, ma è il resto che ho davvero difficoltà a comprendere.

Viene richiesta a gran voce una libertà parzialmente negata, e si conduce la protesta per mettere maggiormente in ginocchio chi ha già serie problematiche economiche a cui far fronte.

Li si aiuta mettendoli nella condizione di pagarsi i danni causati?

Devo essere dura di comprendonio io, è potrebbe anche essere, ma tutto questo, poco ha a che vedere con il buonsenso ed i canti tanto declamati, che si sono visti sui balconi delle case, quelle case che sì, erano diventate gabbie per molti.

«Ne usciremo migliori» era lo slogan del momento, solidarietà e disponibilità, sono state dimenticate facilmente, roba da chiedersi se mai siano realmente esistite…

«Andrà tutto bene», mesi di privazioni, città silenziose, umori instabili, la morte che riempiva tg, pagine di giornali, ma non solo, quella morte si è insinuata nelle nostre vite, in molti ne sono stati toccati.

Bare in corteo per andare a terminare la loro corsa su camion militari, in luoghi distanti, senza aver neanche potuto ricevere un funerale o l’ultimo abbraccio dei loro cari.

Per molti, la vita, è terminata così, con il terrore negli occhi ed il cuore in tumulto per non aver neanche potuto dire un ti voglio bene oppure un ciao.

Ma, devo essere io a non capire, ad ingigantire le cose, ad aver ascoltato il suono delle ambulanze che per settimane intere, continuava imperterrito giorno e notte.
Devo averlo sognato, deve essere così.

In bilico tra chi continua a sostenere che si tratti solo di un complotto, di un virus inesistente, di pura invenzione.

Servirebbe a metterci tutti «proni», comandati e manovrati da chi ci governa, una fine indegna, a ben pensare, ma anche un sistema sbagliato che menti molto più duttili delle nostre, non adotterebbero mai, perché hanno messo ben in conto le conseguenze.

Possiamo muoverci con intelligenza, possiamo ancora uscire, dobbiamo indossare una mascherina e ridurre gli orari quando ci troviamo fuori casa.

Ma, niente da fare, reclamiamo una libertà, che, per ironia della sorte, proprio attraverso i gesti di alcuni personaggi, finiremo con il perdere nuovamente.

Perché?
Si vede che deve proprio piacerci tanto
questo isolamento sociale, si vede che non deve poi mancarci molto la possibilità di raggiungere amici o famigliari, che vivono in città differenti dalla nostra.

Dobbiamo indossare una mascherina, fastidiosa indubbiamente, che ci priva delle espressioni dei volti che incontriamo, che ci rende un po’ tutti strani, ma è una mascherina, non è dolorosa, non dobbiamo tenerla per sempre, ci protegge e protegge, ma: ci lamentiamo anche di quella.

È tutto incoerente se pensiamo ai tatuaggi che sono bellissimi ma anche dolorosi, se pensiamo ai piercing, che in pochi minuti ti fanno sentire un dolore che toglie il fiato, oppure più banalmente se pensiamo a
quando, praticando un’attività fisica, ci facciamo male scontrandoci con un avversario, oppure semplicemente, cadendo male, ci rompiamo una gamba.

Ma, anche a questo non pensiamo mai, devo essere fifona io, oppure avere una soglia del dolore troppo bassa…

Ma torniamo alle proteste sacrosante, mi pare giusto, torniamoci e guardiamo i comportamenti che adottiamo da anni ormai.

Quelli che svolgiamo in automatico, dopo che quel che resta dei nostri neuroni ad esempio, viene bombardato da pubblicità che ci hanno resi «comodi involucri da manovrare», ed in questo caso non lo vediamo, non muoviamo un dito, non protestiamo.

I piccoli negozi che abbiamo nei quartieri e nei paesi, quanto effettivamente li frequentiamo?
In quanti di questi ci rechiamo a fare la spesa?

Quanti ne abbiamo visti chiudere, dimenticati come se non ci fossero mai tornati utili.
Tutti riversati nei centri commerciali, oasi di guadagni miliardari per chi li gestisce, un crocevia di negozi con affitti improponibili al loro interno.

Ristoranti, bowling, paninoteche, ma anche gelaterie, cinema e pizzerie.
Tutte sempre strapiene, tutte sempre affollate di fame di incassi, luoghi di incontro, ma anche disperivi e confusionari.

Intere famiglie, compagnie di giovani, signori attempati: tutti lì, ad acquistare ciò che spesso non occorrerebbe, ma tanto ci sono le offerte, non bisogna lasciarsele scappare.

Acquisti inutili, carrelli che straripano, ed eravamo usciti per acquistare «quattro cavolate..»
In tutto questo: quante volte ci fermiamo a pensare a quel piccolo negozietto sotto casa, in cui non ci recavamo più da anni?

Come mai ora ci interessa così tanto, schierarci al fianco dei negozianti?
Eravamo sulla strada della «Stronzaggine», molto prima della pandemia, non raccontiamoci balle.

Vogliamo parlare di quanti articoli sono stati scritti per segnalare che nel nostro paese non leggeva più nessuno, che non si vendevano giornali e libri in modo sufficiente?
Crisi dell’editoria, quotidiani che chiudono di giorno in giorno, eppure: guai a cercare di avere qualche libro in più nelle librerie di casa.

«Non ci sono i soldi, i libri costano troppo, ma a cosa ti serve avere libri? Riempiono di polvere la casa!».

Ecco, queste le lamentele, ma non ci sono problemi: tutti i soldi che mancano per acquistare libri, appariranno come per magia, nelle tasche di chi, non ha mai letto un libro in vita sua, ma va dall’estetista, ogni settimana.

Siate pazienti: parliamo dei teatri, quelli che propongono commedie, spettacoli, balletti, sì, proprio gli stessi che disertiamo da anni ormai, perché preferiamo andare a ballare, oppure per locali, a fare la movida intanto che le poltrone del teatro restano quasi del tutto vuote.

È davvero strano: ci si schiera dalla parte di persone che protestano per le chiusure, per la perdita di incassi ed il timore di non riaprire mai più.
Eppure ci si unisce a questi cori, si diventa parte del sistema e si dimentica quanto invece potremmo fare tornando a frequentare i teatri.

Covid, timori, confusione, pareri contrastanti, non solo tra i cittadini ma anche nel mondo politico, tra gli stessi virologi.
Si tratta di una pandemia, quasi tutto il mondo sta vivendo la nostra situazione, in alcuni casi, ancora peggio di ciò che viviamo noi in Italia.

Il punto è che attendiamo risposte da chi, non è il mago della soluzione, si sta provando, studiando, sperimentando, qualcosa che potrebbe andare bene, potrebbe, appunto.

L’unica cosa certa è che se rispettiamo regole banali, il «bastardello» si ritira nelle sue stanze.
È che abbiamo indubbiamente ragione quando lamentiamo abbracci mancati, amici che non vediamo da mesi, genitori, magari anziani che evitiamo di esporre ad inutili rischi andandoli a trovare.

Non solo, si stra creando diffidenza(come se pre-covid), non ve ne fosse già abbastanza, tra i ragazzi stessi.
Li si priva di contatti, di esperienze serene, di interazioni che sono basilari per la formazione e la crescita.

Si regala loro l’immagine traballante di una società malconcia.
Si fa passare il concetto che chi non alza la voce è un debole, senza spiegare loro che, quando si alza la voce lo si fa perché si avverte distante chi dovrebbe darci ascolto, lo si fa perché si è insicuri, lo si fa perché si è tutto, tranne che deboli.

Ci sono stati errori, nel gestire questa situazione, critichiamo il mondo politico, lo sbeffeggiamo in rete, lo appelliamo con epiteti che poco hanno a che fare con la civiltà.
Tutti contro, ma nessuno che ha soluzioni, idee, suggerimenti.

Tutti contro ma anche tutti pronti a dichiarare buste paga più basse del dovuto, ed a ricevere il buono vacanza perché alle ferie non si rinuncia, e se riusciamo a farcele pagare dallo stato, perché non approfittare?

Oppure pronti a giudicare le scelte altrui, ritenendosi migliore, ma nessuna rinuncia per il centro estetico, o per le unghie rifatte, perché non si può sfiguare, bisogna sempre essere in tiro, ora più che mai.

Ma guarda un po’, tutti preoccupati di risollevare l’economia di quella attività, o forse la nostra epidermide che inizia a sfidare la forza di gravità?

Si sente dire che è meglio morire di covid che di fame…una cazzata grande come una casa, a cui, fino a che si risponderà con le fila di persone che avrebbero dovuto essere distanziate, oppure con le vacanze all’estero, quando avevamo gli albergatori italiani in ginocchio, mi dite a quale tipo di fame ci riferiamo?

Insomma è chiaro che non vediamo di buon grado il fatto di rispondere alle regole, non pensiamo bene di chi lo fa e non siamo liberi di fare altrettanto, con chi decide che spaccare tutto, esaltare la violenza, siano la scelta giusta.

Non si può far notare che chi scende in piazza non è tutta una massa di esagitati violenti, non si può perché è come se, non reagendo come loro, non ti spettasse il diritto di dire come la pensi, diventi un debole, un pecorone, che reclama proprio (ironia della sorte), la stessa libertà con cui si riempiono a dismisura la bocca anche loro.

 

Non si possono leggere alcuni commenti, sotto i video delle dirette in rete.
Non è possibile sentirsi uniti quando c’è da generare violenza, e mai quando invece ci sarebbe da esserlo per fare qualcosa per il bene di tutti, quando c’è da dare una mano per ripulirlo realmente questo paese da figure ingombranti che si recano ovunque scretidando e parlando del nulla.

Cavarsela dicendo che siamo il popolo delle contraddizioni non basta più, soprattutto in una situazione come questa in cui, scelte scellerate si ripercuotono sulla vita di tutti.

Fare spazio a ragionamenti sensati diventa un obbligo per non piangere e lamentarsi dopo, quando sarà tardi, quando abbiamo già visto quanto : «non ce né coviddi!»

Avremmo potuto usare meglio il periodo di tregua?

Sicuramente sì

Avremmo potuto dare una continuità ai comportamenti adottati in precedenza?

Avremmo potuto sostenere il nostro paese, i piccoli negozi, invece di tornare a riempire solo i centri commerciali in cui, con la scusa della spesa, trascorriamo ore, appiattiti, alla ricerca di beni inutili?

Avremmo potuto ricordarci dei bambini, degli anziani, dei disabili, delle donne picchiate in casa durante il lockdown?

Certo che sì

Invece: andiamo avanti a distruggere ciò che tanto sosteniamo di amare, pur di dimostrare, non si sa bene cosa.

Peccato che, dove tutto questo è avvenuto si continua a svolgere una vita normale, quella che reclamiamo e di cui ci priviamo.
Quasi in ogni famiglia ci sono state perdite di vite, quasi ognuno di noi ha amici , parenti, affetti che lavorano in ospedale, e ciò che ci raccontano, mette i brividi.

Tutti d’accordo a rivelare ciò che non è?

Andiamolo a raccontare a chi è morto da solo, in mezzo ad una tragedia, senza ricevere degna sepoltura e si ritrova in una bara, accatastata su un’altra di cui nulla può più sapere.

Non lo sappiamo contro cosa combattiamo questa battaglia, sappiamo solo che buono con noi non è, che possiamo fare la differenza, che di morire in modo atroce non abbiamo né voglia e tanto meno bisogno.

Non distruggiamo ciò che abbiamo, non diamo spazio a chi ci riempie la testa con lotte politiche travestite da buonismo e solidarietà.

Aiutiamo chi si trova in difficoltà, ordiniamo cibo a casa, acquistiamo anche dai piccoli negozi, rispettiamo qualche regola che regalerà risultati differenti, perché ciò che stiamo facendo non aiuta e prima lo si capirà e meglio sarà per tutti.

Foto tratta dal web

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.