Tante persone belle e poche belle persone

DI ANNA LISA MINUTILLO

Passi tra le foglie di un autunno che colora il mondo.
Pensieri che si rincorrono tra i vari accadimenti e la miseria umana in cui stiamo sprofondando.
Giovani che uccidono altri giovani, ancor più giovani delle loro vittime, con esistenze allo sbando, rimaste incastrate in chissà quale meandro difficile da esplorare, ancor più difficile da giudicare.

Parole che si rincorrono, scenari mutati a seconda dell’interesse personale. Volontà di ferire, di uccidere anche con giudizi inclementi chi non può più difendersi, ed una realtà che diventa sempre più difficile, comprendere, accettare, vivere.

Il dolore di una madre che diventa coraggio di denunciare un figlio, quel coraggio dettato dall’amore che a lui la lega, quel coraggio che un figlio vedrà come una sorta di tradimento ma quanto dolore c’è, nascosto e neanche troppo, tra le parole di una madre che asserisce: ” meglio in galera che nelle mani degli spacciatori”.

Incomprensibile come si arrivi a girare a armati e non della voglia di esplorare il mondo, ma di quella di riservare violenza al primo malcapitato che si incontra per strada.
Legali che si mettono al lavoro e che dichiarano la presa di responsabilità dell’accaduto, ovviamente svolgono il loro lavoro, ma davvero la perdita di una giovane vita resta difficile da ridurre nel chiedere scusa per quanto commesso.

Una parola, “scusa” che suona bene ed è dovuta se magari involontariamente si calpesta un oggetto altrui in metropolitana, oppure se si urta un passante mentre distrattamente si cammina, ma quando si uccide così, senza una ragione, senza rendersi conto di ciò che questo gesto rappresenterà per la vita di chi la vita a causa di questa “leggerezza”, la perderà, diventa realmente complicato trovare anche solo mezza giustificazione.

Sappiamo solo, eppure tante volte non lo vediamo oppure non vogliamo ammetterlo, di vivere in una società che ha perso qualsiasi forma di rispetto, di gentilezza di educazione.
Viviamo come immersi in una bolla silenziosa che spazia dai like sui social, per approdare nella solitudine esistenziale che ci circonda.

Condividiamo momenti personali , mettendoli alla mercè di chi nulla conosce delle nostre vite se non l’apparenza.

Diventa una gara quotidiana a chi maggiormente stupisce, a chi più mostra luoghi visitati, esperienze fatte, cibi consumati, ed intanto ci perdiamo i dettagli, quelli che fanno la differenza concreta, quelli che non vediamo, quelli che evitiamo perché, quelli sì che davvero parlerebbero di noi, del nostro sentire, del nostro rapportarci alle cose, al mondo.

Quelli li evitiamo, perché ci metterebbero troppo a nudo, oppure perché li abbiamo persi davvero, abbiamo smarrito la bellezza, le unicità.

Viviamo come se mostrare di avere ancora un occhio attento ai piccoli particolari ci facesse apparire fuori luogo, romantici sognatori in un mondo che ormai non sogna più o se lo fa, si aiuta con sostanze illegali, con bevute fino a non poterne più, oppure con accozzaglie musicali che non contengono più nessun tipo di melodia, ma sono diventati rumori pesanti su esistenze leggere, troppo leggere.

Immergiamo pensieri in cocktail mortali, ci uccidiamo ed uccidiamo, pensando erroneamente che questa sia la libertà.
Emozioni sempre più filtrate attraverso schermi che innalzano invalicabili barriere e illudono di far sentire chi le prova al centro del mondo, intanto che il mondo, quello reale, ci passa solo accanto.

Si bruciano tappe, si tengono atteggiamenti da “piccoli guerrieri” senza rendersi conto che la guerra che stanno combattendo è quella contro se stessi ed il loro male di vivere.

Genitori che si disperano intanto che immagini corrono senza sosta a riempire testate, schermi, quegli stessi che poche ore prima ritraevano chi uccide in pose sicure, moderne, intoccabili.

Si confonde sempre più il virtuale con la dimensione reale di vita, non si comprende che non esistono filtri per migliorare quanto commesso, non si tratta di sole immagini ma di vita vera, e quella, una volta stroncata, non si può ricreare.

Non sono sufficienti pentimenti e scuse, magari fosse così semplice…
Il limite non lo si vede più, si girano video intanto che altri compiono malefatte, tutti reporter per un momento, ed intanto, qualcuno subisce violenza, qualcuno viene derubato, qualcuno non sa difendersi e nessuno muove un dito.

Si preferisce guardare il mondo attraverso un obiettivo, forse per sentirsi protetti comunque, forse perché manca il coraggio, quel coraggio che una madre ha avuto denunciando un figlio, quel coraggio che chi ha perso un figlio ha avuto nel decidere di espiantare gli organi e salvare altre vite.

Ecco è questa la differenza tra belle persone e persone belle.

Le prime attraverso i comportamenti rendono migliore questo mondo, le seconde sono concentrate sull’immagine di sé, sempre in lotta con lo specchio e gli apprezzamenti di una massa che passa, esattamente come le mode del momento.
Ai primi non mancherà mai la dignità, i secondi l’hanno persa.

Forse perché non erano ben strutturati, forse perché inascoltati nei loro messaggi silenziosi che contenevano richieste di aiuto, forse perché hanno smesso di lottare e si sono arresi a paure da mascherare, non lo sappiamo e non possiamo esprimere parole che poi magari, non corrisponderebbero a verità.

Sappiamo solo che tutto questo fa male, sappiamo che si deve trovare una soluzione, sappiamo che la vita non è composta da selfie smodati ma da attimi vissuti e quelli migliori non posseggono foto perché il bel momento lo si porta con sé ed è fatto di odori, calore, brividi, sapori, emozioni, voci, cose che nei selfie non si possono catturare e di cui giovani vite sono già prive.

Una grande tristezza in questo letto di foglie che colora un mondo che sta perdendo colore…

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.